Forgotten
- Keira Mals Jaycee
- 8 feb 2019
- Tempo di lettura: 9 min
~ Introduzione, Copyrights e cenni contestuali ~
❧ Universo: World of Warcraft
Ambientazione, razze e lore appartenenti a © Blizzard Entertainment.
Personaggio di Venn'ren, Innalia, Calesthris Dawnstar e Ryathen appartenenti a © Blizzard Entertainment.
Personaggio ignoto e Len’thar appartenenti a © Red Caffeine.
Screenshots eseguiti da ed appartenenti a © Keira Mals Jaycee (Red Caffeine).
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Forgotten - Dimenticata
♪ Colonna Sonora suggerita: Sorrow's Harmony - Peter Gundry
✎ Ambientazione: Pools of Aggonar (Pozze di Aggonar), Hellfire Peninsula (Penisola del Fuoco Infernale), Outlands (Terre Esterne).


Sabbia.
Polvere.
Acido.
Morte.
Era questo ciò che quelle terre offrivano. Era questo, ciò che quelle terre avrebbero sempre offerto. Il liquido verdastro che rispondeva al nome di sangue demoniaco si cullava indisturbato tra le sponde dei ruscelli e dei bacini che aveva creato: si era accaparrato, con ignobile prepotenza, ogni lembo di terreno che era riuscito a lambire.
La sabbia vermiglia era rovente, ma difficile era l'atto di decretare se lo fosse più dell'acido di cui era irremidiabilmente macchiata.
I suoi polpastrelli non riuscivano più a distunguerne la differenza. Tangevano, senza più criterio, ogni pezza di terra che li circondava. I suoi occhi erano stati avvolti da una luce luminescente verde che li aveva accecati dall'interno. Qualche giorno prima anche le palpebre, che avevano retto fino a quel momento, avevano ceduto: lacrime verdastre rigavano ora il suo volto, ustionandolo, non tenute più prigioniere all'interno dei suoi occhi ciechi. Ella era pallida, scarna; il suo corpo era cinto da un sottile strato di pelle che veniva tirato sulle ossa come quello di un tamburo, suggerendo in ogni istante un'impellente rottura.
La sua voce l'aveva abbandonata. Emetteva dei primitivi e lamentanti vocalizzi che non comandava, mentre le sue labbra rigate da profondi solchi sulla carne rinsecchita si muovevano per conciliare parole sconosciute in un'oscura e dimenticata lingua.
La sua mente sfuggiva sempre più spesso al suo dominio; i momenti di lucidità erano sempre più radi, la sua razio sempre più evanescente, il suo controllo sempre più lontano, irraggiungibile.
Aveva scordato il suo nome.
Esso era ora custodito nelle viscere dell'oblio. Le immagini del suo passato, quelle che unite avrebbero dovuto definire la sua persona, erano state rimpiazzate da imperscrutabili abissi e dilanianti immagini di cose ben più disumane ed atroci della morte.
I suoi occhi non vedevano più. Il suo sguardo vagava in tetri meandri indefiniti, per sempre perduti nei remoti echi dell'oblio. Scrutavano, senza potersi sottrarre, angoli del tempo e dello spazio che presagivano oscuri avvenimenti di obliterazione.
La sofferenza, oramai, si era completamente impadronita di lei. Si contorceva, in preda alle soffocanti convulsioni che attanagliavano le sue viscere. Le sue interiora sembravano annodarsi tra loro, senza criterio, senza pietà.
La sua mente era appeso ad un filo, sospesa su un baratro senza fine, ad un passo da una rassegnazione che non riusciva a raggiungere, aggrappata ad una sanità instabile, sempre più evanescente e sfuggente, a cui tuttavia non riusciva a rinunciare. Il limbo, la situazione peggiore in cui ogni creatura potesse trovarsi, era divenuta una costante.
L'energia demoniaca la stava consumando dall'interno: rosicchiava le sue ossa, dilaniava le sue carni, si nutriva della sua razionalità, pezzetto dopo pezzetto, ricordo dopo ricordo, istante dopo istante. Le sue difese erano miseramente crollate al cospetto di una tale influenza, ma sentiva che il forte non era ancora crollato. Forze a lei sconosciute ancora presidiavano l'ultimo lembo di raziocinio che le era rimasto, e lo difendevano strenuamente.
Udiva quegli atroci lamenti e quei vocalizzi fuoriuscire dalla sua bocca con una voce che non era la sua. Ascoltava suoni che non erano suoi, ma che sgusciavano dalle sue stesse labbra.
Si era scordata la sua voce. Si era scordata la sua terra. Si era scordata il suo popolo. Solo orrore, miseria e squallore aleggiavano nella sua mente corrotta.
Ma c'era qualcosa...
C'era ancora qualcosa, in fondo alla sua memoria, in un piccolo, misero antro della sua mente. C'era qualcosa, in quell'ultima scintilla di sanità mentale che era riuscita a strappare alla corruzione del Vile.
Una melodia, un'antica melodia che rimbalzava leggera nelle tenebre. Una melodia antica, quasi dimenticata, che era tuttavia rimasta lì, in quello sperduto angolo di memoria, intatto, cristallizzato nel tempo.
Dolci note di un carillon; era questo, quello che udiva nella sua testa. Dolci note di un carillon che si susseguivano con una serenità paradossale per la misera condizione in cui versava. A fatica, ad immensa fatica, le sue labbra sfuggirono alle involontarie contrazioni comandate dalla corruzione, ed opponendosi ad esse seguirono i deboli comandi della loro padrona. Le corde vocali presero a vibrare come in origine, lacerate dallo stento e dalla devastazione. La creatura s'aggrappò con le sue ultime forze a quella volontà, che emerse tanto violentemente da farle dolere il cuore in petto, ma che sopportò. Conciliò suoni più delicati, che le permisero di scorgere la sua vera voce. Animata da questa improvvisa sebbene dolorosa spinta di recupero mentale, il suo tono di voce si alzò, il suo timbro si consolidò, e le parole presero a fluire come se non fossero mai state dimenticate.
Cantò.
Era tutto ciò che le rimaneva.
Cantò.
La sua voce dispersa nella desolazione delle Pozze di Aggonnar.
Cantò.
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♪ Colonna Sonora suggerita: Eversong Woods - World of Warcraft OST
✎ Ambientazione: Falcon Watch (Torrione del Falco), Hellfire Peninsula (Penisola del Fuoco Infernale), Outlands (Terre esterne).


Non si poteva dire che fosse stata una settimana leggera per il capitano Venn'ren. In quelle terre la notte non si distingueva dal giorno, e l'asfissiante calore non era
mai temperato da brezze o venti freschi. L'inospitalità delle Outland non erano certo l'obiettivo finale del ranger, ma il suo cuore temerario, la sua mente acuta e la sua abilità avevano fatto la differenza tra declinare l'incarico e prendersi altresì cura della situazione a Falcon Watch.

I suoi ritmi circadiani erano andati per i fatti loro i primi tre giorni, ma dopo essere riuscito a trovare una costanza, poteva dire di essere riuscito a trovare un certo ordine in quelle lande caotiche e desolate. I sporadici attacchi delle creature infernali che s'aggiravano attorno all'insediamento erano stati liquidati in modo egregio, Venn'ren aveva avuto modo di appurare che le risorse scelte a salvaguardia del perimetro si erano rivelate capaci ed adatte al ruolo. In più poteva contare sul supporto di Ryathen. Non che ci si potesse aspettare chissà quale compagnia da uno denominato "il Tetro", ma di certo non disdegnava la sua abilità strategica.
L'arcanista Calesthris Dawnstar era invece un altro paio di maniche. La sua peculiare inclinazione alla sete di magia arcana ed il suo comfort nelle Outland non erano del tutto condivisi da Venn'ren, che altresì contemplava maggiormente l'aspetto pratico e negativo di quelle terre. Si era tuttavia già ripromesso di tenere d'occhio l'elfo, onde evitare scomode sorprese da parte sua.
Stava riposando, quando arrivò la notizia. Il suo tentativo di mantenere valido il ritmo sonno - veglia che aveva tanto faticato a trovare venne bruscamente vaporizzato da un'elfa del sangue che richiese la sua udienza. La voce della stessa trapelò attraverso il fitto tendaggio che permetteva di mantenere una certa penombra all'interno della tenda nonostante l'insistente luce che pervadeva in maniera sinistra e poco rassicurante le Outland senza arresto. Venn'ren emise un gemito, e si stropicciò l'occhio destro mentre la coperta in seta blu notte scivolò lungo la pelle del suo torso nudo per andare a coprire solo la parte inferiore del suo corpo.

"Ditemi, Innalia...", disse con tono roco dal sonno.
Mentre la donna scostava il tendaggio all'entrata, il capitano si schiarì la voce e si pettinò all'indietro i lunghissimi capelli platino.
"Perdonate l'intrusione, capitano...", si scusò Innalia, una bellissima elfa dall'aspetto elegante e curato nonostante le vesti spartane da cui era cinta. "Si tratta di una faccenda di estrema urgenza."
Gli occhi smeraldo dell'uomo si rivolsero ora alla donna con mite apprensione. Il suo sguardo venne accolto da un atteggiamento estremamente rigido dell'elfa, la quale parve in procinto di rivelare una notizia alquanto preoccupante.
Il capitano dei ranger si preparò in un minuto scarso. Quando uscì dalla tenda era ancora intento ad stringersi la cintura attorno ai fianchi.
"A quando risale il rapporto?", domandò ad Innalia, che aveva preso a seguirlo non appena l'aveva visto uscire dalla tenda.
"A pochi minuti fa, capitano."
"Le viverne sono riposate?"
"Solamente un paio."
Si stava dirigendo a passo spedito verso il capanno elfico in cui stanziava Ryathen il Tetro.
"Ho bisogno di qualcuno che sappia comandare alla perfezione la bestia.", dispose, con tono autoritario ma calmo. "Il territorio in cui andremo non è esattamente ospitale."
Si strinse le cinghie attorno ai polsi per fissare i guanti. Varcò la soglia della capanna, e s'avvicinò all'elfo dalla pelle diafana ed i capelli bianchi che stava discutendo qualcosa con Calesthris Dawnstar.

"Ryathen.", lo chiamò.
L'elfo si volse lentamente verso di lui. Il suo sguardo avrebbe potuto silenziosamente perforare qualsiasi armatura e qualsiasi anima senza fatica. Tuttavia, in quel momento, il capitano dei ranger aveva ben altro per la mente.
"Perdonate l'interruzione.", continuò.
"Ben destato, capitano.", parlò con tono estremamente calmo ed ammaliante, nascondendo una nota sfuggente nelle parole che pronunciava. "Pensavo foste ancora a riposare. Vi ho visto stanco, ultimamente."
"Si tratta di un'emergenza.", tagliò lui corto. "Non sono ancora in possesso delle informazioni necessarie per fornire un rapporto dettagliato, ed è per questo sto andando ad indagare. Vi lascio il comando per le prossime ore.", gli comunicò. "Nel caso in cui non dovessi far ritorno, avvisate Thrallmar ed inviate soccorsi alle Pozze di Agonnar."
"Le Pozze di Agonnar, capitano?"

"E' lì che sono diretto.", spiegò brevemente, "Porterò con me un arciere."
"L'emergenza è di tale calibro da allontanare il capitano dei ranger dal suo presidio a Falcon Watch?"
"Le Pozze di Agonnar sono un luogo particolarmente tedioso. Essendoci stata solo una segnalazione, la mia intenzione è quella di eseguire un iniziale sopralluogo; tuttavia, non voglio rischiare che le forze della Legione mettano in pericolo una preziosa risorsa di questo avamposto."
Il capitano non era in vena di dare molte spiegazioni, lo si vedeva. Il suo sguardo era fisso negli occhi del Tetro, il quale con sua grande sorpresa notò una particolare determinazione in esso, tanto da farlo desistere dal domandare ulteriori delucidazioni.
"Se questo è il vostro volere e giudizio, che sia.", accettò egli.
"Molto bene."
Detto ciò, Venn'ren si volse dopo aver eseguito un elegante cenno del capo e si diresse verso l'uscita. Mentre percorreva il sentiero per risalire sulla rocca, mille pensieri s'addensarono nella sua mente. Quella segnalazione era giunta come una saetta a ciel sereno: l'ultima cosa che si aspettava era che un corriere riferisse di aver udito una ninnananna elfica provenire dalle pozze di Agonnar mentre attraversava i suoi cieli con una viverna diretto a Thrallmar. Faceva insolitamente fatica ad allontanare quello strano senso di preoccupazione che gli giungeva come il sussurro di un tanto oscuro quanto misterioso presagio. Non era da lui tediarsi tanto per mantenere il controllo e la concentrazione. Tuttavia, aveva espresso la sua volontà ai referenti dell'avamposto, e sapeva bene che non vi era spazio per dubbi o ripensamenti al riguardo.
Si affrettò dunque a raggiungere Innalia, riuscendo a racimolare una dose di focus mentale sufficiente a non rendergli impossibile la pianificazione della spedizione. Notò subito la figura maschile affianco alla donna.
“Qual è il tuo nome?”, domandò Venn’renn con fare frettoloso ma autoritario al ranger dai capelli biondi tagliati corti e lineamenti particolarmente giovani e limpidi.
“Len’thar, Signore.”, rispose subito il ragazzo con voce convinta.
“Questa non è una spedizione per principianti o deboli di cuore, Len’thar. Sei sicuro di voler partecipare?”
“Sì, Signore.”
Il capitano degli arcieri di Falcon Watch, per sua natura, voleva sempre essere certo della veridicità delle parole che i suoi soldati proferivano, e non si lasciava sfuggire mai l’occasione di verificare con i suoi stessi occhi.
Si prese il tempo per penetrare nello sguardo di Len’thar, di scrutarne le più intime sfumature e di inoltrarsi nel labirinto di verdi specchi che lo componevano. Rimase in religioso silenzio, mentre lo faceva. Un religioso silenzio che racchiudeva gelosamente in sé tutta la saggezza e l'esperienza di Venn'ren.
“E sia.”
Le sue parole sancirono, a quel punto, il suo destino. Len'thar, con aria estremamente diligente e solenne, non mostrò alcun sorriso in volto, ed altresì si diresse silente ed austero verso la sua viverna.
Venn’ren, da parte sua, s’avvicinò alla propria - cinta da un’armatura rossa.
Era innegabile che la sua mente era ancora piena di vaporosi pensieri da cui, per qualche motivo a lui fastidiosamente ignoto, non riusciva a prescindere. Qualcosa lo teneva indissolubilmente legato a quella faccenda senza che gli fosse concessa la minima possibilità di opporsi. Realizzò che si trovava in groppa ad una viverna, intenzionato a lasciare il presidio a lui meticolosamente affidato, diretto verso un posto da cui lui e tutti coloro dotati di lucidità mentale badavano a tenersi alla larga, senza prove fondate né tangibili di un eventuale e remoto superstite. Nessuna delle sue azioni era plausibile, ma la sua audacia aveva apparentemente gridato più forte di tutti ed aveva messo a tacere qualsiasi altra inclinazione ed emozione.
In ogni caso, rifletté, quel che era stato fatto, era stato fatto.
Non avrebbe dunque indugiato oltre.
Agitò le redini.
La creatura che stava montando ruggì feroce al suo gesto. Cominciò a correre sempre più veloce verso un precipizio poco distante. Le sue possenti zampe feline batterono sul terreno e lo scossero nelle sue viscere, soggiogandolo alla loro potenza. Giunta sull’orlo, due grandi ali in epidermide violacea si sfoderarono dai suoi fianchi, ed il suo volo cominciò. L’aria prese a carezzare i lunghi capelli platino dell’Elfo del Sangue. Quest’ultimo si volse per controllare che Len'thar lo stesse seguendo, ed una volta rassicurato di ciò riportò lo sguardo pensieroso ed estremamente bramante di risposte nuovamente di fronte a sé, rinnovato di una peculiare determinazione.
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